giovedì 22 novembre 2012

HIDE AND SEEK

listening to Imogen Heap, Hide and seek



Sara si voltò, sottraendosi al suo sguardo. Prese ad osservare l’orizzonte buio, lontano, perso tra le miriadi di luci che illuminavano quella fresca notte di una Milano di fine estate. Lui le stava accanto mentre la guardava immobile. Per un secondo desiderò essere il vento che le scorreva morbido tra i capelli. La ragazza fece un ultimo tiro, poi gettò la sigaretta non ancora finita oltre il parapetto. Non si affacciò. La immaginò consumarsi velocemente mentre precipitava verso il suolo con addosso i segni del rosso delle sue labbra, percorrendo i sei piani di vuoto che separavano il balcone dal marciapiedi.
- Entriamo, si è fatto tardi. E inizia a far freddo.
- ...
- Sara... Dovrei tornare a casa, lo sai.
Sara non lo degnò di uno sguardo. Per tutta risposta, si sfilò il maglioncino e lo lasciò cadere, mostrando allo sguardo stanco di Luca la vista della sua bianca schiena nuda. Poi, lentamente, si tolse le scarpe e appoggiò i piedi senza calze sulle piastrelle gelide.
- Sara...?
Si voltò e gli sorrise. La luce della luna e della città la rendevano ancora più pallida del solito, ma il suo volto nascondeva una nota maliziosa, forse di sfida, che si intonava perfettamente con il colore delle sue labbra e la generosa scollatura del vestito.
- SARA!
Mosse un goffo ed istintivo passo in avanti quando la vide vacillare nell’intento di arrampicarsi sul parapetto del balcone. Sara ritrovò subito l’equilibrio, consentendo al cuore di Luca di rallentare un po’. Il ragazzo sospirò. La guardava mentre sfidava l’altezza e il buio della notte, con quei capelli lunghi sempre mossi dal vento. La trovava bellissima.
- Sara, che stai facendo?
- Vieni qui.
- No.
- Ti prego...vieni.
- Scendi. Mi fa paura. E’ da stupidi.
- ...
- E poi è tardi.
- Per favore. E’ meravigliosa Milano da qui.
Luca sospirò a lungo. Sapeva che non avrebbe smesso di insistere facilmente.
- Togliti scarpe e calze. Potresti scivolare.
Senza accorgersene, scosse leggermente la testa in segno di disapprovazione, quasi rimproverandosi. Si chinò, tolse diligentemente le scarpe e i calzini come Sara gli aveva ordinato, e lentamente si unì a lei, muovendosi goffo e impacciato, spaventato dall’altezza. Poi, alzò la testa, ammirando il panorama della città che dorme. Fu costretto ad ammettere almeno con se stesso che la vista era mozzafiato. Tuttavia, non avrebbe mai e poi mai potuto cedere, accontentandola una seconda volta.
 - Contenta, adesso?
- Se ti chiedessi di tuffarti con me, lo faresti?
- Nemmeno per sogno.
- Sei un codardo. E’ per questo che non sono certa di amarti fino in fondo.
- Tu sei pazza.
- Non lo escluderei.
- Possiamo scendere ora?
- E’ rimasto ancora un po’ di quel vino?


Il vento non cessava di soffiare, agitando i capelli di Sara e riempendo entrambi di gelo nelle ossa. Entrarono. Tornarono in soggiorno, e finirono quel che restava della bottiglia. Parlando, Sara si accorse che il cd che stavano ascoltando era terminato, lasciando nell’aria quella fastidiosa sensazione di vuoto, di mancanza, di assenza. Così si alzò, camminando verso la portafinestra, diretta allo stereo. Quando, all’improvviso, Luca si ricordò di guardare l’orologio.
- Sara, è tardi. Accompagnami a casa.
- ...
- Sara...non fare finta di non aver sentito.
- ...
- E non costringermi a chiamare un taxi.
- ...
- Sara, per l’amor di Dio! E’ tardi e devo tornare a casa, lo sai bene.
- ...
- Ok, dammi le chiavi dell’auto.
- Non ci penso nemmeno. L’auto è mia e tu non vai da nessuna parte.
- Scusa?
- Stanotte resti qui.
- Scherzi?
- Stanotte resti qui. Fine della storia.
- Certo, che idea geniale! E cosa dovrei raccontare a Martina?
- Che sei un uomo senza palle.
Qualcosa, nella mente di Luca, scattò, annebbiandogli la ragione. Il rumore che fece la sua mano quando cadde violenta e veloce sul viso dolce di Sara lo risvegliò.
- Perdonami.
Sara non si mosse. Avrebbe voluto dire qualcosa, forse urlare. Si limitò a guardarlo fisso negli occhi mentre la guancia bruciava e gli occhi si riempivano di lacrime, offuscando l’immagine di Luca e lo sfondo della camera.
- Le chiavi dell’auto sono accanto alla porta. Vai.
- ...
- Cosa stai aspettando? Torna a casa. E’ tardi.
- Mi dispiace.
- Ti ho detto di andare.
- Sara, ti prego, aspetta.
- Che cosa?
- Io ti amo.
Senza far rumore, qualcosa iniziò a sciogliersi nel petto di Sara, qualcosa che aveva il peso di un nodo rimasto lì a crescere da chissà quanto tempo, in attesa che le labbra di un uomo venissero a portarlo via. Gli occhi esplosero in un pianto dolce, quasi infantile, che aveva lo stesso gusto amaro delle lacrime che accompagnavano le sue notti insonni ormai da mesi. Avrebbe voluto sottrarsi allo sguardo di quel ragazzo che non faceva altro che fissarla, immobile, forse in attesa di una risposta. Per un momento Sara provò pena per lui. Capiva perfettamente cosa stesse provando. Il senso di smarrimento di quando in un impeto di coraggio misto a follia ci si lancia, e non si trovano le braccia di nessuno pronte ad accoglierci. E’ come la sensazione di cadere, la perenne sensazione di vuoto. Ci si chiede quando arriverà il momento dello schianto. E quanto male farà, dopo tutto.
- Vattene.
- Cosa?
- Vattene.
- No.
- Adesso vuoi restare?
- Mi dispiace, ok?
- Non è per lo schiaffo.
- E per cosa?
- Io ti voglio Luca. Io ti ho sempre voluto. E tu lo sai.
- ...
- Così come hai sempre saputo che ti amo.
- Allora vieni qui.
- Non puoi risolvere tutto con un “ti amo”.
- Io non voglio risolvere un bel niente.
- Forse dovresti.
- Ho voglia di te.
- Mi fai paura.
- Sara, ma cosa dici?
- Dico che di te non mi posso fidare. Né ora né mai.
- Ho mandato a puttane la mia vita, i miei progetti, per te!
- Non ho mai chiesto tanto.
- Vieni qui. Ti voglio adesso.
- Luca basta. Vattene.
Muovendo qualche breve e lento passo le si avvicinò. Sara era rimasta immobile accanto alla porta finestra che conduceva dal piccolo soggiorno al balcone. Il suo corpo era stanco, inerme, piangeva. Solo le parole sembravano avere ancora la forza di resistere, dando vita ai pensieri. Gli chiedeva di andar via, di lasciarla in pace, pregò che sparisse mentre chiudeva gli occhi. Lo sentì arrivare, poteva avvertire il suo odore e il ritmo del suo respiro. Sentiva che avrebbe voluto cedere e lasciarsi andare, illudere ogni razionale pensiero che la voleva spingere lontana da lì, dal calore che quel corpo emanava, dal dolore e dalle lacrime che non aveva fatto altro che regalarle fino ad allora e che sapeva non avrebbe mai finito di darle. Non poteva smettere di piangere, di desiderarlo ed insieme di chiedergli di andar via. Finché la forte stretta della mano grande di Luca sul proprio volto la ridestò, invadendola di paura.
- Luca...
- Io ti voglio.
- Luca...
- Stai ferma.
- Lasciami, mi fai male...
- Zitta.
Strinse la presa e le spinse la testa all’indietro, facendola sbattere con violenza contro il vetro della finestra. Sara provò a parlare ancora, ma tutto nel suo corpo sembrava congelato, come le luci bianche che illuminavano la Milano di quella notte ingrata. Tutto era freddo e immobile, dentro Sara. Solo il cuore parlava e faceva un gran rumore. Una fiamma tremante infuocò il blu dei suoi occhi, ma Luca non poteva notarla.
- Lo capisci, che ti amo?
La ragazza strinse gli occhi, chiedeva al cielo di far sparire le lacrime, asciugare il dolore e la paura. Ma non poteva controllare quel pianto che nascendo da quel blu le solcava le guance, il mento, il collo, e scendeva veloce come le mani di Luca, quelle mani bellissime che Sara aveva sognato tante notti, quelle mani grandi e calde che sconfinavano il buon senso e a cui non importava niente. Quelle mani che come lacrime forzavano i muscoli tesi e serrati delle gambe, e senza portare un fiore o un carezza la spogliavano, la spingevano, la sollevavano e la aprivano, e permettevano a Luca di entrare in lei, mescolarsi al dolore, al pianto, all’amaro, al gelo, diventare un tutt’uno con quel corpo inerme e immobile, freddo, solo, spaventato. Il pianto silenzioso e la muta preghiera sovrastati dal respiro sporco di Luca sparivano, e con loro spariva Sara, e lei ebbe paura di non esistere più mentre contro a quel vetro il suo amore la spogliava di tutto e la riempiva di niente.

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