listening
to Low, Lullaby
- Non posso restare, Sara. Lo sai.
- Ancora un po’, ti prego. Stai con me ancora per un po’.
Lo fissava con occhi rossi di pianto, il mascara colato già lungo
le guance, fin sul collo. Addosso, la solita aria stanca dell’ennesimo addio,
mista a quella malinconia che anni fa Ivan avrebbe giurato sembrava
racchiuderla in una bolla di effimera ed affascinante bellezza. Quasi
appartenesse ad un altro tempo, ad altri luoghi. Un sentimento che la abitava
come il sangue che lento le scorreva nelle vene, e che da qualche tempo non lo
incuriosiva più.
Abilmente schivò il suo sguardo languido, si alzò dal divano e si
diresse verso la cucina per recuperare la giacca e abbandonare quella casa.
Forse per sempre, come ogni volta le diceva. Forse solo fino al prossimo canto
di sirene.
Con rapidi gesti raccolse le proprie cose dal tavolo, con addosso
la stessa paura ed insieme la stessa smania di finire presto di quando ci si
scaraventa fuori, in giardino o sul balcone, nel tentativo di portare in salvo
le cose più preziose rimaste all’aperto, nell’istante in cui tutto, del cielo,
minaccia un forte temporale.
Sara lo aveva seguito senza far rumore. Lo osservava, silenziosa,
appoggiata alla porta, vestita di una semplice maglia bianca e un paio di slip,
i piedi nudi sul pavimento chiaro di marmo. La bocca rossa intenta a fumare una
sigaretta stretta tra le dita chiare e sottili di una mano tremante. Gli occhi
su di lui, ma in un certo senso assenti. L’assordante rimbombo del proprio
cuore che scandiva ogni attimo nella testa, annientando ogni suono.
- Dobbiamo salutarci. Questa volta dico davvero.
Sara rise. Una risata isterica che per un istante risuonò quasi
come un pianto, un lamento. Ma Ivan non poteva più permettersi di farci caso.
Finì di cercare le sue cose nel caos di oggetti della vita di Sara che quella
notte sembravano pronti a riversarsi su quello stesso tavolo, quasi fossero
tutti in attesa di passare al setaccio, uno ad uno, a ripercorrere momenti
passati insieme, istanti, ricordi, racconti. Tutto condensato in pochi rapidi
minuti di controllo e ricerca, per giungere infine a scegliere che cosa portare
a casa, e cosa lasciare.
- Facciamo l’amore.
- No, devo andare.
- Vieni qui…
Gli si avvicinò, e in quel preciso momento sembrò riprendere vita.
Buttò i suoi enormi occhi blu oceano nelle scure profondità di quelle di Ivan,
che non fu così abile ad evitare l’attacco. E ne fu invaso. Senza altri
tentativi di ribellione, si lasciò andare alla danza di lei lungo il suo corpo.
Lo corteggiava, lo desiderava. Piangeva, e sorridendo gli toglieva la giacca
ancora una volta, sbottonava la camicia e i pantaloni, continuando a fissarlo
negli occhi. Mentre gli si inginocchiava davanti, nella mente di Ivan tornò per
un’istante l’immagine di Sara di tanti anni fa. La sua freschezza, le gonne
corte e le collane. La voglia di fare sempre tardi insieme e le risate senza
fine. La dolcezza e la vitalità, i colori, le canzoni, le notti a ballare. Il
vino buono. L’amore a perdifiato, il sesso senza noia né finzione. Che ne era
stato di quella creatura così viva? Chi c’era ora lì, nella stessa stanza,
chinata per terra intenta a dedicarsi a lui? Chi era quel corpo assente? Non
poteva sostenere lo sguardo sullo squallore delle loro vite, condensato in
quell’immagine che gli si presentava proprio sotto il naso. Non poteva
sopportare di continuare a specchiarsi nel pallore sbiadito di Sara, nella
miseria della sua essenza consunta dal tempo e dalla noia.
Così la afferrò per le spalle e la fece alzare. La spinse con
forza contro il muro, tenendo la schiena per sé. La fece chinare con poco
garbo, le abbasso le mutande e le fu dentro, senza chiederle permesso. Questa
volta, come tutte le altre. Ma con rabbia, e ferocia, nel tentativo di
annientare l’ultimo barlume di speranza rimasta, cancellando in una manciata di
minuti l’immagine della Sara di un tempo, separando per sempre il presente dai
ricordi.
Piangeva, Sara. Le lacrime correvano calde lungo il viso,
indugiando un attimo sulle labbra prima di toccarle il collo e scivolare a
terra. Acqua salata che le ricordava il mare. Piangeva e non parlava. Inerme,
immobile, lo lasciava fare. Questa volta, come tutte le altre. Piccola onda in
balia della corrente. Piangeva Sara, e annegava. Occhi blu oceano a fissare il pavimento, in attesa del
ritorno del vento del nord.